Congedo di paternità: quanti giorni spettano ai neo papà?

La legge italiana prevede delle misure che hanno l’obiettivo di permettere ai neo papà e alle neo mamme di dedicare alcuni giorni o mesi alla cura dei propri figli. Se è più noto e riconosciuto il fatto che il congedo di maternità obbligatorio permetta alle mamme di stare a casa dal lavoro per cinque mesi (che si possono estendere), il tempo “concesso” ai papà è molto inferiore. Tuttavia, esistono forme di congedo di paternità obbligatorie e facoltative, riservate sia in caso di nascita, che di adozione e affido. Vediamo dunque in cosa consistono, a chi sono rivolte e come fare richiesta.

Congedo di paternità: che diritti per i neo-papà?

Il congedo di paternità, sia obbligatorio che facoltativo, è stato introdotto in Italia a partire dalla Legge 92 del 2012 ed è stato esteso solo nel 2016 ai casi di affidamento e adozione. Le regole per l’anno 2019 sono stabilite dalla Legge di Bilancio, n. 145/2018, e si applicano solamente per i genitori di bambini nati durante l’anno in corso.

L’INPS riconosce, sia per il congedo di paternità obbligatorio che per quello facoltativo, il 100% della retribuzione a carico dell’ente stesso, e non del datore di lavoro. E questo tipo di misura di tutela è riservata a tutti i titolari di contratto di lavoro dipendente.

durata congedo di paternità

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Congedo di paternità obbligatorio

I giorni di congedo obbligatorio di paternità previsti, dunque, per l’anno solare 2019 sono cinque, uno in più rispetto all’anno precedente. Queste cinque giornate di astensione dal lavoratore possono essere fruite anche non continuativamente e includono le giornate del parto, dell’affido oppure dell’adozione.

Spetta al padre indipendentemente dalle scelte della madre legate al congedo di maternità, poiché è un diritto autonomo, ma deve essere esercitato entro cinque mesi dal momento in cui nasce il bambino.

Congedo di paternità facoltativo

La legge prevede, come anticipato, anche la possibilità di un giorno aggiuntivo di paternità, cosiddetto facoltativo: anche in questo caso il limite temporale per poter godere di questo diritto è di cinque mesi dalla nascita del bambino o dal momento dell’affido o adozione. Tuttavia non si tratta di un diritto autonomo del padre, ma può essere richiesto solamente se la madre rinuncia a una giornata del proprio congedo di maternità. In altre parole, come si legge sul sito dell’INPS, “il giorno del padre anticipa quindi il termine finale del congedo di maternità della madre.”

padre figlio

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Altre forme di tutela: il congedo parentale

Non tutti sanno che il congedo parentale, conosciuto più spesso come “maternità facoltativa”, può essere richiesto anche dai papà e, a differenza di quello obbligatorio, dai lavoratori indipendenti, compresi sempre i genitori affidatari e adottivi.

Consiste nella possibilità di astenersi dal lavoro per un periodo complessivo, tra padre e madre, di dieci mesi nell’arco dei primi 12 anni del bambino o della bambina. I mesi a disposizione possono diventare 11 nel caso in cui il padre scelga di restare a casa per occuparsi del figlio per almeno tre mesi, anche non di fila.

Il congedo parentale spetta, dunque, alle madri per un periodo fino a sei mesi, ai padri per lo stesso periodo che può trasformarsi in sette mesi nel caso in cui decidano di usufruirne per almeno tre.

Infine, questo tipo di congedo si può frazionare anche in termini orari, sebbene non esista una normativa chiara e univoca che definisca l’effettivo corrispettivo del congedo su base oraria. La questione è rimandata ai contratti di categoria e, nel caso in cui non ci siano, al rapporto dei lavoratori direttamente con la propria azienda.

padre e figlio

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Cosa prevede il congedo parentale?

Dal punto di vista economico, il congedo parentale prevede il riconoscimento di un’indennità calcolata a partire dall’ultimo stipendio intero prima della nascita o dell’affidamento del bambino. Più nello specifico, l’INPS prevede:

  • un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera, calcolata in base alla retribuzione del mese precedente l’inizio del periodo di congedo, entro i primi sei anni di età del bambino e per un periodo massimo complessivo di sei mesi;
  • un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera, dai sei anni e un giorno agli otto anni di età del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento), solo se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione ed entrambi i genitori non ne abbiano fruito nei primi sei anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi;
  • nessuna indennità dagli otto anni e un giorno ai 12 anni di età del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento).

Sia per quanto riguarda il congedo parentale che quello di paternità è necessario presentare domanda all’INPS, oppure all’ente di previdenza presso i quali si è iscritti, seguendo le procedure indicate.

legislazione congedo paternità

Congedo di paternità: cosa può fare il welfare aziendale?

Con soli cinque giorni di congedo di paternità obbligatorio più un solo giorno facoltativo l’Italia è uno dei paesi in Europa che concede meno tempo al neo-papà per partecipare alla vita familiare nei primi giorni da quando è nato il proprio figlio o da quando è entrato in casa per la prima volta. Proprio di recente, in Svizzera questo congedo è stato aumentato a 10 giorni, mentre in Portogallo sono addirittura 16.

Consapevoli di questa criticità, sono molte le aziende che si stanno mobilitando per permettere ai propri dipendenti di stare a casa, con il riconoscimento del 100% di indennità, ai propri dipendenti uomini. È il caso, per esempio, di una nota azienda cosmetica che ha previsto nel contratto per i propri dipendenti dieci giorni di paternità obbligatoria pagata.

Le aziende scelgono, dunque, di promuovere politiche di welfare aziendale che mettono la conciliazione tra genitorialità e lavoro al centro, valorizzando sia il ruolo materno che quello paterno. I costi sono, in questo caso, sostenuti dalle aziende che, però, possono accedere a benefici di tipo fiscale, come abbiamo visto parlando in generale dei vantaggi di adottare queste policy dal punto di vista dell’impresa.

Per il lavoratore, d’altro canto, si tratta di una tutela in più che risponde ad un bisogno specifico e molto sentito. Non è, però, l’unico tipo di sostegno che l’azienda può offrire ai propri dipendenti: un esempio è quello degli asili nido aziendali, ma esistono anche forme di supporto dedicate all’assistenza domiciliare, al supporto in ambito sanitario, ai servizi per la famiglia. SiSalute, divisione servizi di UniSalute, propone per esempio soluzioni non assicurative per tutelare la salute nell’ambito del welfare aziendale che permettono alle mamme o ai papà che lavorano di affrontare con serenità i primi anni di vita dei propri figli. Lo sapevate già?

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