La sanità pubblica post emergenza Covid, tra esami e ricoveri saltati o rinviati: quali soluzioni per supportare il SSN?

Secondo un’indagine Uecoop/Ixè dello scorso aprile, durante l’emergenza Coronavirus, molti italiani che avrebbero dovuto iniziare o continuare cure e terapie mediche sono stati costretti a posticiparle, sospenderle o rinunciarvi. Durante il lockdown infatti, molte prestazioni considerate non urgenti sono state cancellate, seppure momentaneamente: una situazione che ha colpito maggiormente le fasce più fragili della popolazione, per esempio gli anziani, i malati cronici come i cardiopatici, ma anche pazienti oncoematologici e disabili. Con il supporto di alcune survey e di indagini realizzate nel periodo del lockdown, cercheremo di fare il punto su quanto è accaduto nei mesi scorsi e sulle condizioni in cui si trova oggi la nostra rete sanitaria.

Cosa è successo durante il lockdown

Nei mesi di marzo e aprile il sistema sanitario nazionale ha vissuto giorni drammatici, durante i quali è stata necessaria una rapida riorganizzazione delle strutture sanitarie con l’allestimento di reparti per i malati di Covid-19, laddove possibile. Tutto il personale ha lavorato a ritmi serrati e molti medici e infermieri si sono spostati all’interno del Paese per convergere nelle aree maggiormente colpite dal virus. Questi cambiamenti, ingenti seppur momentanei, hanno comportato una riduzione delle prestazioni di carattere non urgente: a partire dalle visite specialistiche e dagli esami di routine, fino ad arrivare ai percorsi terapeutici, c’è stata una sospensione o riprogrammazione per moltissimi pazienti. A risentirne, anche l’assistenza ad anziani e disabili ha risentito dell’accaduto, e lo stesso è accaduto per i malati oncoematologici, come vedremo nei prossimi paragrafi.

Visite e prestazioni rinviate

Durante la pandemia, un italiano su due ha dovuto posticipare i controlli sulla propria salute: “iI 42% ha dovuto rinviare o cancellare visite mediche per altre patologie, mentre la restante parte ha visto slittare esami medici, terapie e cure”, si legge sul sito di UeCoop.

Una parte consistente del personale medico e infermieristico è stato coinvolto nel fronteggiare l’emergenza Covid-19, soprattutto nelle regioni più colpite. Il Decreto legge del 9 marzo aveva infatti disposto che “al fine di impiegare il personale sanitario delle strutture pubbliche o private prioritariamente nella gestione dell’emergenza, le regioni potranno rimodulare o sospendere le attività di ricovero e ambulatoriali differibili e non urgenti, incluse quelle erogate in regime di libera professione intramuraria”.

A seconda dei territori, sono stati adottati provvedimenti diversi: il Piemonte ha sospeso gli interventi chirurgici ordinari e l’uso di sale operatorie, limitandolo a urgenze, interventi salvavita e oncologici; la Sardegna aveva prorogato fino al 30 giugno i piani terapeutici dei farmaci e dei dispositivi per malati cronici. In generale, da nord a sud, il sistema sanitario ha subito in questi mesi un forte contraccolpo dovuto al Covid-19 e le misure di sicurezza e distanziamento, insieme alle forti limitazioni degli spostamenti, hanno messo ulteriormente a rischio lo svolgimento di visite e terapie.

Telemedicina anziani

Courtney Hale/gettyimages.it

Uno stravolgimento che, come mette in luce una ricerca svolta da Nomisma per UniSalute, ha fatto sorgere negli italiani nuove esigenze e nuove opinioni riguardo ai servizi a tutela della salute. Il lockdown, infatti, ha fatto emergere, da un lato, la grande utilità di servizi come il teleconsulto o il videoconsulto medico o della ricetta dematerializzata, soluzioni che i nostri connazionali vorrebbero continuare ad utilizzare; dall’altro, ha messo in risalto l’importanza del ruolo della sanità privata nella gestione della fase emergenziale e post emergenziale. Il 57% degli intervistati pensa infatti che una maggiore sinergia tra sanità pubblica e privata sia necessaria, sia per fronteggiare una nuova, eventuale emergenza sanitaria, che per implementare e garantire servizi sempre più efficienti e innovativi.

Cure e prevenzione oncologica nell’emergenza sanitaria

Per i malati di tumore, che nel nostro paese sono almeno 2,5 milioni, l’emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19 è stata particolarmente impegnativa. La loro condizione di fragilità, infatti, li ha esposti maggiormente al rischio di contrarre il virus, e la situazione drammatica del sistema sanitario nazionale ha costituito un elemento di criticità nella gestione di diagnosi, cura e follow-up. Secondo i dati della survey “La salute, un bene da difendere, un diritto da promuovere”, la maggiore preoccupazione di questi pazienti (34% degli intervistati) nel periodo appena trascorso è stata il non potersi sottoporre a esami e controlli. Il 36% ha lamentato la sospensione di esami e visite, mentre un paziente su 5 ha segnalato la sospensione degli esami diagnostici.

Nei malati oncologici, inoltre, è forte il timore di contrarre il virus, come è emerso anche dall’indagine promossa dall’Università Politecnica delle Marche e dagli Ospedali Riuniti di Ancona: il 53% degli intervistati teme infatti che la chemioterapia possa aumentare le probabilità di contagio e il 35% pensa che lo stesso valga per l’immunoterapia. Tuttavia, il dato confortante è che secondo la maggior parte dei pazienti (93%) lo staff sanitario è sempre stato raggiungibile durante il lockdown (telefonicamente o via mail) e i centri oncologici hanno rispettato le norme di sicurezza (97%).

Prevenzione e cura delle cardiopatie durante il lockdown

Visite cardiopatie covid

Supitnan Pimpisarn/gettyimages.it

A fine aprile, la Società Italiana di Cardiologia ha pubblicato i dati di una ricerca condotta in 54 ospedali accademici e non, nella settimana tra il 12 e il 19 marzo: nelle strutture, gli accessi al pronto soccorso per infarto miocardico sono drasticamente calati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Di contro, la mortalità per infarto acuto è quasi triplicata, mentre le procedure salvavita si sono ridotte del 40%. L’aumento, quindi, è dovuto al fatto che, intimorite dalla possibilità di contrarre il coronavirus, molte persone non si sono recate in ospedale o lo hanno fatto tardi. Inoltre, sulla questione ha pesato il fatto che alcuni reparti di cardiologia siano stati destinati all’emergenza.

Molti esperti avevano più volte lanciato l’allarme, già a marzo: sebbene fosse necessario fronteggiare la pandemia con tutti i mezzi a disposizione, non bisognava dimenticare le altre malattie e la condizione in cui versano molti pazienti cronici, come i cardiopatici. A ribadirlo, dopo la fine del lockdown, è proprio il presidente della SIC, Ciro Indolfi, nelle pagine de La Repubblica: “per timore del contagio i pazienti ritardano l’accesso e arrivano in condizioni sempre più gravi, con complicazioni, che rendono molto meno efficaci le cure salvavita come l’angioplastica primaria. Se questa tendenza dovesse persistere e a rete cardiologica non sarà ripristinata, ora che è passata questa prima fase di emergenza, avremo più morti per infarto che di Covid-19”.

Disabili e anziani: le difficoltà di assistenza e riabilitazione

Le associazioni che rappresentano disabili sensoriali e intellettivi hanno manifestato molta preoccupazione prima della Fase 2, quando ancora non era chiaro quali misure sarebbero state attuate nella fase di ripartenza del Paese. A causa dell’emergenza Covid-19, infatti, i servizi di assistenza sono stati sospesi e i centri diurni chiusi. Già durante il lockdown c’erano stati peggioramenti nelle condizioni di alcuni assistiti e un aumento dell’isolamento sociale; i genitori di molti ragazzi autistici, in una serie di interviste realizzate da disabili.com, hanno inoltre fatto presente che i figli molto spesso non accettano volentieri di indossare la mascherina. I dispositivi di protezione, inoltre, sono un grosso ostacolo anche per interfacciarsi con pazienti che soffrono di demenza, poiché rendono ancora più difficile il riconoscimento.

Assistenza anziani Covid

FG Trade/gettyimages.it

Una questione delicata è anche l’assistenza agli anziani nelle oltre settemila case di riposo, molte delle quali si trovano nei territori più colpiti dalla pandemia. Alle prese con un gran numero di ricoverati non autosufficienti, gli operatori hanno lavorato spesso in condizioni precarie, senza avere a disposizione adeguati strumenti di protezione.

La situazione si è rivelata altrettanto complessa, infine, per tutti coloro che lavorano nel campo della riabilitazione e che, necessariamente, hanno bisogno di stare a strettissimo contatto col paziente, di toccarlo e di aiutarlo a compiere la maggior parte dei movimenti.

La rete sanitaria adesso

Sebbene alleggerita rispetto ai mesi scorsi, la situazione del sistema sanitario nazionale italiano non è affatto tornata alla normalità. Le norme di sicurezza impongono infatti il rispetto di nuovi criteri che determinano una riduzione del livello di operatività delle strutture ospedaliere. Oggi vengono nuovamente erogate anche le prestazioni non urgenti, ma recuperare quelle di marzo, aprile e maggio non sarà facile, né immediato. Il Centro di ricerca in economia e management in Sanità (Crems) dell’Università Carlo Cattaneo ha realizzato, per Dataroom di Milena Gabanelli su Corriere della Sera, una stima di quanto accaduto a livello sanitario durante il lockdown: sono 12,5 milioni gli esami diagnostici saltati, oltre a 20,4 milioni di analisi del sangue, 13,9 milioni di visite specialistiche e almeno un milione di ricoveri.

infografica rete sanitaria

Tutte queste prestazioni, naturalmente, dovrebbero essere recuperate da qui ai mesi a venire, ma non è detto che accada in tempi brevi. Si andrebbero infatti a sommare a quelle già prenotate prima del lockdown, con l’aggravante che le norme di sicurezza impongono protocolli di igiene, sanificazione degli ambienti e distanziamenti che portano a un allungamento dei tempi tra una visita (o una terapia) e quella successiva.

I ricoveri non urgenti e non legati al Covid, che nei mesi di marzo e aprile sono stati cancellati, poiché alcuni reparti erano stati infatti dedicati ai pazienti colpiti dal virus, dovranno ugualmente essere riprogrammati ma anche in questo caso la situazione non sarà facile da gestire: i posti letto a disposizione sono in numero ridotto per via delle norme di sicurezza. Il Crems prevede dunque che in un anno il numero di prestazioni si ridurrà notevolmente, se non ci saranno degli interventi a favore della sanità pubblica. Alcune proposte potrebbero per esempio riguardare l’allungamento degli orari di prestazione, l’assunzione di personale e potenziare le strutture territoriali, che possono supportare gli ospedali, ma anche l’incremento degli investimenti sulla telemedicina.

Un quadro che, come evidenziato dalla già citata ricerca UniSalute Nomisma, rende sempre più evidente l’importanza di un supporto forte alla sanità pubblica, anche attraverso una solida alleanza tra pubblico e privato, che consenta di alleggerire il SSN da pressioni, e di prevenire situazioni come quelle vissute durante le fasi più drammatiche dell’emergenza, e come quella che stiamo attualmente vivendo.

 

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