Nuove cure contro il cancro: cosa sono gli anticorpi monoclonali?

La ricerca contro il cancro non si ferma mai e ha molteplici obiettivi: individuare le cause delle malattie, elaborare strategie di prevenzione efficaci, migliorare le terapie. Proprio in quest’ultimo campo sono stati fatti concreti passi avanti, negli ultimi 20 anni, seguendo la strada segnata dell’immunoterapia oncologica. Abbiamo intervistato il dottor Antonio Maestri, oncologo e Direttore U.O.C. Oncologia dell’Azienda USL di Imola, per capire di cosa si tratta e cosa sono gli anticorpi monoclonali che vengono, talvolta, impiegati nella cura di alcuni tumori specifici come, per esempio, il tumore al seno, quello ai polmoni oppure i melanomi.

Immunoterapia: cos’è e come funziona

Le prime evidenze scientifiche che dimostrano come la stimolazione delle difese immunitarie dell’organismo possano essere efficaci nell’ambito della terapia oncologica risalgono agli anni Ottanta quando, come ci spiega il dottor Maestri, vennero descritti i primi casi di immunodeficienza acquisita. “Ci si rese conto che in questo gruppo di persone venivano diagnosticati con più frequenza tumori molto rari nei soggetti immunocompetenti e che la malattia aveva tratti più aggressivi.”

Da qui è partito un filone di ricerca, con l’obiettivo di capire perché si verificasse questo intensificarsi delle neoplasie e come si potessero usare queste informazioni in ambito terapico. “Per tanti anni – aggiunge Maestri – l’immunoterapia oncologica ha mirato a stimolare la risposta del sistema immunitario contro la malattia usando sostanze che normalmente vengono prodotte dall’organismo e regolano il network immunitario (interferoni, ad esempio). Ricerche più moderne hanno individuato alcune proteine specifiche, definite PDL1, che sono responsabili del fatto che la cellula tumorale sia invisibile per gli anticorpi dell’organismo.”

terapia antitumorale

L’ingegneria molecolare ha elaborato, a partire da questa scoperta, degli anticorpi che bloccano il PDL1 e permette ai linfociti killer, ovvero alle cellule del sistema immunitario che debellano gli attacchi esterni, di eliminare anche le cellule neoplasiche. “Questi farmaci, che noi chiamiamo modulatori del checkpoint immunitario, vanno a legarsi a questa proteina, direttamente sulla membrana cellulare dei tumori, e fanno sì che non svolga più il suo compito di rendere invisibili quelle cellule malate al sistema immunitario.”

Questo tipo di immunoterapia oncologica, ci spiega ancora l’oncologo, è oggi particolarmente efficace rispetto al passato, quando le cure di questo tipo avevano l’obiettivo di potenziare la capacità del sistema immunitario di proteggere l’organismo, ma non erano in grado di individuare le cellule malate. “I nuovi farmaci immunomodulanti, invece, vanno a rompere il meccanismo dell’invisibilità della malattia.”

Anticorpi monoclonali: cosa sono?

Tra i farmaci che vengono utilizzati nell’ambito dell’immunoterapia ci sono anche quelli che vengono chiamati “anticorpi monoclonali”, medicinali che funzionano come anticorpi: proteine che si legano ad altre proteine in base alla loro funzione e, per questo, possono inibirne una funzione specifica.

“Uno dei primi esempi di anticorpi monoclonali applicati in ambito oncologico – spiega Maestri – riguarda il tumore alla mammella. Quando si rileva, infatti, la proteina HER2, che rende la malattia più aggressiva, si può proporre la terapia con Trastuzumab, un anticorpo monoclonale che si lega in modo specifico a HER2 e uccide le cellule tumorali.”

Il farmaco è un vero e proprio anticorpo che viene somministrato endovena e si chiama “monoclonale” poiché viene prodotto sempre da una stessa cellula tumorale di origine murica oppure umana, che viene riprodotta per essere utilizzata come medicinale.

È possibile riconoscere gli anticorpi monoclonali a partire dalla nomenclatura. Infatti, se finiscono in -mab sono di origine murina, in -ximab sono una chimera tra topo e uomo, se sono -usumab sono totalmente umanizzati. “Questa è un’indicazione aggiuntiva per capire come è stato prodotto il farmaco – specifica l’intervistato – ma dal punto di vista del paziente non varia l’efficacia e la risposta all’anticorpo monoclonale.”

chemioterapia

Immunoterapia: da cosa dipende l’efficacia?

Chiediamo, dunque, al dottor Maestri di spiegarci in quali casi può essere indicata l’immunoterapia e per quali tumori è più efficace. “In primo luogo, dobbiamo fare una precisazione. L’efficacia di questo tipo di cura dipende da almeno due fattori: quanto il tumore esprime, per esempio, il PDL1 perché non tutte le cellule malate di tutti presentano questa proteina, e quanto funziona il sistema immunitaria.”

La ricerca però, ci ricorda il dottor Maestri, è solo all’inizio: al momento è stata individuata questa proteina che regola l’invisibilità della cellula neoplasia, ma non è detto che sia l’unica. “Di fatto, lo specialista valuta se il tumore presenta un’alta espressione di PDL1 e, in questo caso, può proporre il trattamento con l’immunoterapia e immaginare che possa essere efficace.”

Tra gli altri elementi che possono condizionare l’efficacia della terapia, c’è anche la possibilità, osservata in alcuni casi, che si formino dei meccanismi di resistenza da parte delle cellule tumorali. “Complessivamente però – specifica l’intervistato – il dato importante è che abbiamo oggi tassi di sopravvivenza con malattia ancora presente che prima non immaginavamo neanche.”

Tumori per cui può essere proposta l’immunoterapia

È il caso, per fare l’esempio più importante, del tumore al polmone metastatico. Maestri spiega che, prima, l’aspettativa di vita alla diagnosi era difficilmente superiore a un anno. “Oggi ci sono piccole casistiche che dimostrano come pazienti che esprimono alti livelli di PDL1 stanno sopravvivendo a 5 anni di distanza.”

Il dato ottenuto è che i pazienti, pur non guarendo, sopravvivono molto più a lungo rispetto a prima. Il sistema immunitario è, quindi, già oggi molto importante nel controllo dell’evoluzione della malattia tumorale: “pur non potendola debellare completamente può attenuare la progressione.”

Altri casi in cui viene utilizzata l’immunoterapia oncologica sono:

“Per questi tumori esistono medicinali già utilizzati in Italia – aggiunge l’intervistato – e i pazienti che fanno questo tipo di terapie più vivono più a lungo e meglio, anche se le percentuali di guarigione sono ancora modeste.”

tumore chemioterapia

Quali controindicazioni per l’immunoterapia oncologica?

Il dottor Maestri spiega che l’immunoterapia può avere effetti tossici che rendono impossibile la terapia, mettendo in pericolo di vita il paziente, mentre per quanto riguarda gli anticorpi monoclonali essi potrebbero scatenare il sistema immunitario contro tessuti del nostro organismo. “Potrebbero comportarsi come se fosse in atto una malattia autoimmune e ciò è più frequente in pazienti che hanno già avuto patologie autoimmuni come, per esempio, la retto-colite ulcerosa. In questi casi, è assolutamente sconsigliata l’immunoterapia.”

I rischi evidenziati permettono all’oncologo di sottolineare quanto sia importante effettuare questo tipo di terapia con un’equipe che conosce bene i trattamenti, i rischi e i benefici e sappia indagare se in un determinato paziente è adatta o meno. “A volte la diagnosi di un tumore per cui esiste un anticorpo monoclonale non è sufficiente per sostenere che quel paziente abbia tutte le caratteristiche per rispondere alla terapia.”

Combinazione tra farmaci: il futuro della terapia oncologica

“L’immunoterapia oncologica è sicuramente un passo avanti nella terapia di molti tumori, ma non è il passo conclusivo” specifica l’intervistato. Sono necessari, infatti, ulteriori studi che possano individuare altri bersagli, oltre per esempio alla proteina PDL1, ma soprattutto “va applicata nelle malattie giuste, nei pazienti giusti e questo la può decidere solo il medico oncologo esperto di questi trattamenti.”

Un’altra questione ancora aperta è quella del dosaggio. È stata pubblicata di recente, infatti, una ricerca sulla rivista Scientific Reports a proposito di un nuovo metodo di misurazione della concentrazione nel sangue degli anticorpi terapeutici. “Attualmente – spiega Maestri – noi somministriamo questi farmaci a delle dosi standard a tutte le persone, e non tutte metallizzano il farmaco allo stesso modo, cosa che può influenzare sia la risposta sia la tossicità: i ricercatori hanno messo a punto un test per capire come dosare la concentrazione ematica di questi anticorpi, in modo tale da avere modelli che ci portino ad avere un dosaggio mirato.” Nello studio è stato testato il Trastuzumab, applicato anche in gastroenterologia, ma per ora si tratta di sperimentazioni non applicate negli ospedali.

Una terza prospettiva di ricerca è quella dell’associazione tra farmaci immunomodulanti: “ a parte alcune eccezioni come nel trattamento del melanoma, queste molecole vengono somministrate singolarmente. Si sta, però, sperimentando l’associazione tra immunomodulanti e chemioterapia classica, oppure con altri farmaci a bersaglio molecolare.” L’obiettivo è colpire le cellule tumorali in più punti, aumentando l’efficacia della terapia.

In conclusione, Maestri sottolinea come l’immunoterapia oncologica rappresenti una risorsa preziosa, ma resta un problema generale piuttosto importante: “si tratta di terapie molto specifiche, tanto che non le possiamo offrire a molti pazienti. I bersagli delle cellule tumorali su cui sono stati sviluppati i farmaci che vanno a colpire lo specifico bersaglio, si ritrovano soltanto in una quota dei pazienti con quella patologia.”

 

I primi risultati sono, dunque, incoraggianti, ma la strada della ricerca è ancora lunga e ha bisogno di essere sostenuta. Voi conoscevate già l’immunoterapia oncologica e l’utilizzo degli anticorpi monoclonali?

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